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Breve storia di Villanova d'Asti

Il lavoro non è solo una registrazione di fatti e di notizie che tornano ad onore di Villanova e dei suoi dintorni, ma chiaro nell’esposizione, è altresì ricco di sentimento e di riflessioni e considerazioni, formative di bene, massime per la gioventù.

E per l’accenno alle coltivazioni e all’attività di queste popolazioni, il libro acquista un interesse maggiore.

Le possibilità di un maggior sfruttamento agricolo e industriale sono esposte certo un po’ rapidamente, ma pure dovrebbero bastare a persuadere tecnici e’ industriali a dar vita sul luogo, a qualche piccola industria o manifattura, per offrire lavoro a parecchie famiglie non abbienti.

Ci è quindi ben gradito dovere, accordare egida e favore all’interessante lavoro. Nel contempo volentieri raccomandiamo la pubblicazione alle famiglie e agli ospiti, gentili, affinchè vogliano, ad un’opera di bene, dar appoggio e il più generoso favore.

 

Villanova d’Asti, 20 Marzo 1949.

 

IL SINDACO

Grand’Uff. Dott. Adolfo VILLA

Notizie generali

Chi, durante una bella mattinata di Maggio, percorra la linea ferroviaria Asti- Torino, vede svolgersi d’ambo i lati uno dei più suggestivi aspetti di vita agricola. Il passeggiero, toccato il territorio di Villanova d’Asti, entra in una vastissima e fertile pianura, che si estende verso la provincia di Torino.

La campagna è meravigliosamente verde, rigogliosa, direi quasi lussureggiante di vita. Il suolo offre quadri di superba bellezza. Si alternano coltivazioni di cereali, foraggi, lino, canapa, filari di gelsi e, nei diversi toni di verde e nel fluttuare dorato delle biade, granoturco, striscie di rosseggianti trifogli e di erba medica cantata dal gran Virgilio.

Attorno, nella pace silente della campagna di Villanova, si alternano fattorie, cascinali e piccole case di coloni, nell’ondulata serie di dossetti verdi. Salutiamo con rispetto quelle casette; sono il frutto di lunghe rinunzie, di sudori, di lagrime.

Nella distesa di questi campi, si riconosce l’opera di una popolazione attiva, laboriosa, che trova nell’agricoltura il suo miglior conforto. L’uomo che falcia, la donna che rivolta il fieno, i buoi aggiogati che conducono l’aratro. Intanto le allodole e le rondini si alzano dai solchi e cantano, volando a ondate.

Questi contadini hanno nelle stalle il loro patrimonio più prezioso. Vi prospera l’allevamento del bestiame, che macchietta pascendo i verdi piani e anima le grandi stalle di pacati ruminanti.

E’ notevole che, anche qui, nella parte piana, si viene sempre più accentuando la tendenza a servirsi di macchine agricole.

Chi si reca nell’epoca della mietitura e s’indugia su queste estese pianure, comprende che vogliono significare in tutta la loro nobiltà, la bellezza e il vigore del lavoro agricolo. A mietere, a mietere, si dicono l’un l’altro, questi bravi agricoltori. Il frumento, granito e maturo, biondeggia come oro ed oscilla col capo chino sotto la serenità biancastra del cielo. Sì, a mietere, prima che si levi improvviso l’uragano a devastare in un attimo il frutto di tante fatiche e la speranza dei ricchi e dei poveri. Cadono sotto i colpi della falce messoria le spighe, e legate in pingui covoni, sono portate sull’aia o ammucchiate sotto la difesa di un rustico tetto.

Negli intervalli di riposo, i mietitori si recano dove l’aria è mite, all’ombra verde e tranquilla degli alberi e là sdraiati, fanno una parca merenda e, in allegri conversari o in sonnellini riposanti, aspettano l’ora in cui riprenderanno il lavoro. Che febbre di lavoro, che trepidazione ad ogni soffio di vento, ad ogni nuvoletta apparsa all’orizzonte! E che sollievo e che letizia, quando il sole, tramontando in una limpidezza cristallina di cielo, promette sereno anche il domani!

Evviva il pane, profumo delle mense, vita, forza e allegria di un popolo!

Intorno alle qualità degli abitanti di questa plaga, come possiamo rilevare anche dalle cronache, vengono descritti come uomini attivi, onesti, frugali, come sono tuttora, dediti con secolare vigore di vita alla tranquilla opera dei campi; e le prospere ragazze le vedete passare per le strade di campagna ed attendere a facili lavori, col capo coperto di leggeri cappelli di paglia dalla larga tesa, oppure cinto il capo di un fazzoletto a colori, stornellando allegre canzoni. E quando tace la voce umana, in questa smisurata quiete, non si sente che l’armonia delle cose. Il silenzio dell’anima rende allora capaci d’intendere il silenzio della natura, "il divino del pian silenzio verde! " (1)

Chi scrive, quante volte, in aperta campagna, ha ammirato questa natura nell’alterna vicenda delle stagioni, ammantata del suo verde, smaltata dei suoi fiori, nel suo vasto lembo di cielo! E quando le nubi sfaldate rivelano la maestosa corona delle Alpi, allora le alte

(1) (G. Carducci, Sonetti).

vette bianche di nuova neve, paiono frammenti di mondi, sospesi tra un contorno di cielo indorato dal sole.

Qui più che altrove voi riscontrerete la longevità degli abitanti. Vivendo in questa distesa serena di pace, si rinfrancano dei lavori, riposando al rezzo nelle ore del meriggio, alternando la fatica col riposo e ristorandosi delle molte faccende, nei dolci ozi tranquilli delle veglie invernali.

Sono qui ben noti e attuati i prosupposti per la miglior produzione del grano: sementi elette, diligente preparazione del terreno, semina a righe dove è possibile, concimazioni naturali e chimiche a tempo e luogo.

Ma a completare il quadro delle coltivazioni, nella parte piana di questi terreni, gioverà pure la frutticultura, che può contribuire a migliorare le condizioni dei coltivatori, offrendo un raccolto prezioso e rimunerativo.

La frutticultura, finora non ha preso qui uno sviluppo confortante. Ma con adatti dissodamenti e lavori di concimazioni, ogni casa di campagna, anche qui potrebbe avere il proprio frutteto. Converrà vigilare le piante, scegliere bene le varietà, non abbandonare le pianticelle, ma accudirle con la potatura e con la difesa dalle malattie. Dovrebbe essere anche cura del Governo, dei Municipi, degli Enti morali, quella di diffondere il necessario insegnamento speciale, col mezzo delle Cattedre ambulanti di agricoltura e con tutti gli altri mezzi che possono essere suggeriti dall’esperienza. La frutticultura offre la materia prima per le marmellate e conserve alimentari che ogni famiglia può prepararsi; e si potrà anche in tal modo giungere al punto di emanciparsi dal tributo che diamo all’estero per il rifornimento di questo importante, nutriente e sano alimento.

L’agricoltura non si limita qui. alla coltivazione della terra, ma comprende ancora il vasto cerchio dell’economia rurale propriamente detta a cui si riferisce l’orticultura, l’allevamento e l’ingrasso di suini, un largo allevamento di animali da cortile, cioè polli, anitre, oche, galline faraone, tacchini. Dal mercato che si svolge a Villanova il giovedì, si esportano in tempi normali, polli e uova per decine di migliaia di lire settimanalmente. Sono pure curate le conigliere, gli alveari e le colombaie.

L’agricoltura è certo la prima delle arti. La semplicità e purezza dei costumi, la robusta costituzione, la vita libera dei campi, i lavori che occupano incessantemente l’agricoltore, lo allontanano dagli svaghi pericolosi che le Città offrono ai loro abitanti.

L’uomo dei campi è più vicino a Dio; il suo sentimento religioso è vivo e sincero. Le meraviglie della natura, il ritorno regolato delle stagioni, i benefizi di una terra feconda e quella tendenza che lo spinge a innalzarsi alla divinità, onde invocare abbondanti le messi e supplicare lontani i flagelli, tutto concorre a fare della campagna un ambiente, ove il lavoro dispone alla fede, alla virtù, al patriottismo.

C e n n i s t o r i c i

Origine e fondazione di Villanova

Dell’origine e fondazione di Villanova, abbiamo documenti che risalgono al tempo di Ottone III della Casa di Sassonia ,regione montuosa della Germania.

Ottone III, disceso in Italia, ben accolto dai feudatari, sempre pronti a cambiar padrone, si fece incoronare Re a Pavia e a Roma Imperatore.

Nel 1001, Ottone III donava al monastero di S. Felice di Pavia, un villaggio, denominato Corveglia (Curtis vetula) con tutti i terreni circostanti. Esiste ancora oggidì la borgata con tale nome, vicinissima all’attuale Villanova d’Asti.

Le Benedettine del monastero di S. Felice di Pavia, fecero costruire in Corveglia, un monastero che dedicarono pure a S. Felice e venne occupato da religiose di quell’Ordine. Attorno al monastero, oltre 1a chiesa, erano la scuola, giardini, orti, mulino, stalle, granaio.

Nelle vicinanze, a levante e in amena pianura, protette e difese dal monastero, si raccoglievano le umili case dei contadini che vivevano e lavoravano alla dipendenza del monastero stesso. Questa località divenne presto centro di nuova vita e di cultura vasta e intensa. L’abitato, che andava così formandosi e aumentando di popolazione, fu denominato in un primo tempo, semplicemente Villanova, e in seguito Villanova della Piana (1)

Conviene ricordare che le fondazioni dei benedettini erano allora autonome; ogni monastero faceva da sè; l’abate (o l’abbadessa) come il feudatario, nel suo distretto, imperava sovrano sopra la sua comunità e sui terreni assegnati.

Il massimo propulsore del movimento monastico, fu San Benedetto di Norcia. I pericoli di una vita che aveva principale scopo la guerra, inducevano a cercare pace nei monasteri. A centinaia, a migliaia sorgevano, in quei tempi, i monasteri in tutta Italia, per opera dei Benedettini, ai quali la regola del fondatore faceva obbligo di lavorare sette ore al giorno, lavoro sotto tutte le forme, intellettuale e manuale, nei campi e nell’officina.

A Montecassino, in provincia di Caserta, esiste ancora la celebre abbazia fondata da S. Benedetto nel 529. L’Ordine dei Benedettini ha dato alla Chiesa, nel corso dei secoli, ventiquattro papi, duecento cardinali, milleseicento arcivescovi e moltissimi vescovi canonizzati santi. E fu un umile benedettino, Giovanni Gersenio, che scrisse il più sublime libro religioso del medio evo: Della Imitazione di Cristo, "il libro che illumina e penetra tutto il gran dramma umano, spogliandolo d’ogni ingombro di falsità e di menzogna " (2). Giovanni Gersenio fu abate di S. Stefano in Vercelli dall’anno 1220 al 1240.

La regola monastica era, ed è ancora oggi, considerata come una garanzia di una vita più regolata e perfetta. Ma le istituzioni monastiche non furono solo ispirate dalla tendenza all’ascetismo. In una società tutta compresa di misticismo, le associazioni monastiche si assumevano pure l’incarico di varie opere, come aprire ospizi ai viandanti, erigere ospedali, creare istituti per vecchi, orfani, ecc. Tutte queste istituzioni avevano naturalmente un’impronta religiosa. Le spade dei legionari romani si erano irrugginite; occorrevano altri mezzi, altri centri di civiltà, cioè pregare, studiare, trascrivere libri, dissodare terreni e affermare esigenze superiori ai materiali interessi.

 

I terreni del Monastero di Corveglia

I terreni assegnati dall’Imperatore Ottone III al monastero di Corveglia, erano lavorati da contadini vincolati alla terra, detti servi della gleba.

Un fattore fissava le ore di lavoro, distribuiva ad essi i ferri del mestiere, fissava i lavori dei boaro, del carrettiere, dello zappatore e così via. Oltre l’annuo censo in denaro e in frutti, i soggetti lavoratori della terra, dovevano prestare al monastero di Corveglia particolari servizi, come battere il grano, far la legna, trasportare il vino, e per il consumo giornaliero, fornire latte, burro, ortaggi, frutta, secondo le coltivazioni del terreno. Il fodro, come dicevasi allora, ossia la contribuzione che gli abitanti del luogo dovevano al monastero, veniva imposta dall’abbadessa.

Nella borgata Corveglia, esistono ancora oggi i resti di un antico castello che dovette servire come difesa dagli assalti delle soldatesche mercenarie di passaggio.

(1) Nei cenni storici ci siamo tenuti a pubblicazioni e a documenti che hanno riferimenti alla storia dell’Astigiano e particolarmente: Statuti Comunali di Villanova d’Asti, con introduzione di Mons. Pietro Savio, addetto alla Biblioteca Vaticana - Bosio: La Chiesa d’Asti - Carme di Antonio Astesano - Codice di Asti detto di Malabaila - Grossi e Grandi: Storia di Asti - Dizionario Feudale di Francesco Guasco di Bisio - N. Gabiani: Asti e le sue vicende Cesare Cantù: Storia degli Italiani.

(2) Cesare Guasti, con note di G. M. Zampini sulla Imitazione di Cristo.

Del castello appare ancora l’alta torre, segnacolo di un passato fosco, ma al quale le pie monache benedettine, hanno dato allora, l’impronta della loro gentilezza e del loro sereno spirito di carità.

Nell’aggregato delle abitazioni di Villanova, si stabilirono pure in seguito, i canonici regolari di S. Agostino, che riconoscevano la signoria del monastero di S. Felice.

Certo, una notevole trasformazione di vita accadde in Italia, quando i monaci, aprendo i loro chiostri, si fecero incontro al popolo per aiutarlo, predicando il Vangelo, assistendo i malati, istruendo la gioventù per sottrarla dagli ambienti malsani, dalla bettola, dalle chiassate rumorose che caratterizzavano la vita del medio evo.

Fine di Ottone III

Durante l’impero di Ottone III (983-1002) III territorio in Italia era ancora diviso in tanti staterelli (feudi), quanti erano i conti, i marchesi, i vescovi, che presero il nome di feudatari. A cominciare da Ottone I, gli Imperatori di Germania estesero anche ai vescovi i diritti feudali, creando i vescovi conti.

Il feudatario, in mezzo ai suoi vasti tenimenti, si fabbricava il castello, edificio massiccio con torri merlate e attorno, fossi, controfossi e ponte levatoio. Nell’atrio del castello, teschi di cinghiali e di lupi, aquilotti imbalsamati, corna di cervi, indicavano i divertimenti dei signori. Fra gli stemmi si vedevano armature, lancie, mozze ferrate, e negli stanzoni, attorno a vasti camini, si raccoglieva la famiglia a giocare agli scacchi, o ai dadi, a ricamare, a bere e a udire le novelle e le canzoni dei menestrelli e giullari, ossia buffoni di professione.

Ottone III aveva umiliato e spogliato alcuni feudatari laici, irrequieti, arbitrari e prepotenti e, mentre si recava a Roma, seppe della morte del Papa. Fece allora eleggere un papa tedesco intitolatosi Gregorio V. Dovette in seguito reprimere a Roma, i baroni rivoltosi, capeggiati da un certo Giovanni Crescenzio, che aveva usurpato il governo della città e fatto eleggere un antipapa.

Ottone fece decollare Crescenzio e dodici caporioni e sospenderne i cadaveri ai merli del castello, e fece subire atroci tormenti e mutilazioni all’antipapa.

Ottone, preso in seguito da rimorsi, andò a confessarsi da S. Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, il quale gli impose per penitenza di andare scalzo da Roma fino al Santuario del Monte Gargano.

Ottone poco dopo finì i suoi giorni nel monastero di S. Apollinare a Ravenna; tutto in digiuni e salmodie, come affermano alcuni storici, vestito di cilicio, dormendo su di una stuoia di papiro, in penitenza dei suoi peccati. Sopraffatto da malattia, moriva a soli 22 anni nel 1002.

Nel medio evo, erano frequenti i casi di ricchi, di altolocati, i quali vicini a morire, stanchi e disingannati del mondo, si ritiravano a vivere nella solitudine, e prendevano l’abito monastico, regalando al monastero in cui entravano, i loro beni.

Durante l’impero di Ottone III, l’èra volgare toccò il suo millesimo anno. Molti storici affermano che all’avvicinarsi dell’anno mille, i popoli credettero di essere giunti alla fine del mondo.

" Chi può immaginare lo stato di una società che crede di essere alla vigilia dell’intero suo scioglimento? Moltissimi vestirono il saio monastico; a turbe accorrevano ai santuari devoti, con processioni di reliquie venerate, e con sante litanie supplicavano Iddio ad aver misericordia dei popoli che a momenti dovevano tutti comparirgli davanti.

" I buoni trassero occasione di inculcare pietà, sviare da private vendette, indurre a penitenza, a rispettare le chiese e l’innocenza. Quando il terribile mille passò, gli spiriti, a poco a poco, ripigliarono confidenza e si ritornò alle cure del mondo ma la rinfrancata devozione, rese più appariscente il primato della Chiesa, unica società inconcussa fra tanto scompiglio " (C. Cantù, Storia degli Italiani).

Nel medioevo, si moltiplicarono in seguito, per tutto, le Confraternite dei battuti o disciplinanti, che visitavano le chiese e accompagnavano il Viatico. Le Confraternite furono principalmente diffuse da S. Bernardino da Siena e da S. Vincenzo Ferreri, nella prima metà del 1300. In quel periodo di tempo s’introdusse pure la devozione, estesa fra i secolari, di farsi seppellire con la tonaca di battuti o di un qualche Ordine religioso, come volle essere Dante Alighieri, morto a Ravenna nel 1321.

 

Vendita di Corveglia e Villanova

al Comune di Asti

Molte città nel XII secolo, per ragioni demografiche, cioè per l’aumento della popolazione, concedevano ai contadini dei borghi di lasciare la campagna e di farsi cittadini, accasandosi in città, e li facevano esenti da ogni gravezza, accomunandoli ai diritti degli altri cittadini.

Le città erano allora governate da vescovi conti.

In quel tempo i borghigiani di Villanova diedero segno di malcontento e di ribellione per il trattamento che veniva fatto a loro riguardo, per cui il monastero dovette chiedere man forte ai signori vicini di Riva, di Chieri e di Poirino,. i quali, sotto colore di patrocinio, turbavano la giurisdizione del monastero e talora ne occupavano il territorio.

Il 24 Aprile 1210, veniva il monastero reintegrato nei suoi diritti, ma nel corso delle liti coi signori vicini, contraeva forti debiti. Trovandosi impotenti le monache a soddisfare nel tempo consentito, si decideva la vendita di Corveglia e di Villanova al Comune di Asti.

Il 25 di Ottobre 1215, si stipulava il contratto, in virtù del quale l’Abbadessa delle religiose benedettine del Monastero di S. Felice, vendeva ad Asti, Villanova e il Monastero di Corveglia con tutti i terreni circostanti, colti e incolti, gerbidi, pascoli, boschi, con tutte le coltivazioni all’atto del contratto.

Il Comune di Asti veniva così a provvedersi di un granaio sicuro e copioso, possedendo in quelle parti un vasto territorio. I villanovesi divennero così cittadini astesi, non come singoli, ma attraverso la formazione comunale. Da allora l’abitato venne denominato Villanova d’Asti.

 

Villanova si erige a libero Comune

Il governo dei vescovi conti, meno duro di quello dei feudatari laici, aveva naturalmente attirato nelle città i servi della gleba liberatisi dal pesante giogo feudale. Quando poi i vescovi ebbero a lottare contro i feudatari laici, i cittadini diedero loro valido aiuto. Dell’aiuto dato ai vescovi i cittadini si valsero per partecipare con loro al governo della città. Così a poco a poco si venne sostituendo al governo dei vescovi e dei conti, il governo del popolo e si costituirono i liberi comuni, che erano una specie di associazione contro gli abusi e le prepotenze dei feudatari.

Il Comune si governava come un piccolo Stato; alla testa stavano alcuni magistrati, detti Consoli, i quali facevano eseguire le leggi, comandavano la milizia, presiedevano i tribunali, coadiuvati da un Podestà. I Consoli erano pure aiutati da un Consiglio di cittadini.

Nel 1285, per opera di Oddone Biandino, capitano del popolo di Asti, anche Villanova si costituiva a libero Comune, e otteneva giurisdizione su Solbrito, Supponito, Dusino, Monastero, Villanovetta, Brassicarda, Corveglia, Valdichiesa. Un monastero con alcune case intorno, poco distante dalla chiesa dedicata a S. Felice, formavano un piccolo borgo detto Villanovetta, che per essere senza mura, era sovente infestato da quei di Valfenera, cosicchè gli abitanti, più non potevano coltivare le campagne e il monastero trarne profitto. Villanovetta, venne in seguito demolita e, per ordine del Podestà di Asti, Turello Milone, gli abitanti furono obbligati a ritirarsi in Villanova, che venne in seguito munita di forti mura (anno 1240), disegnate dallo stesso Podestà e circondata da grandiose fosse (1).

Allora vennero pure ad abitare Villanova, le genti di Dusino, Solbrito, Corveglia, Supponito, S. Paolo, Monastero e altri piccoli borghi e castelli che le stavano attorno, affinchè riunita la popolazione di questi luoghi, fosse valevole a sostenere l’impeto dei nemici in quei calamitosi tempi di guerriglie tra Ghibellini che tenevano per l’Imperatore e per il potere civile, e Guelfi che tenevano per il Papa e per il potere ecclesiastico.

Monastero, era pure un piccolo borgo che trovavasi nella pianura tra la stazione ferroviaria e il Ciocchero. Venne demolito quando Villanova fu circondata di baluardi o bastioni. A ricordo del monastero dei Benedettini già esistente in quel luogo, fu eretto un pilone, ora in rovina, che trovasi vicinissimo alla strada provinciale che dalla stazione di Villanova va alle cascine dei Savi. Il pilone è in un praticello di forma triangolare, nelle vicinanze delle rovine del Castello, ultimamente di proprietà del Conte Viglietti

Ma l’antico castello di Supponito (detto in seguito Ciocchero), coi terreni adiacenti fin verso Villanova fu un tempo di proprietà del Conte Suppone, di sangue illustre, che teneva la Contea di Torino e di Asti negli anni dall’880 all’890. Il luogo di Supponito ebbe il nome dal Conte Suppone, sotto il regno di Carlo il Grosso imperatore, re di Germania e d’Italia; costui riuniva tutto il retaggio di Carlo Magno, ma nessuna delle qualità necessarie a sostenerlo. Come incapace e mentecatto, Carlo il Grosso fu deposto da imperatore, e morì miserabile l’anno 887; e allora, come dice il Cantù, la corona di Carlo Magno andò per sempre a pezzi, e i vari popoli si elessero re nazionali e si costituirono in stati indipendenti.

Concorse Supponito all’edificazione dei bastioni di Villanova d’Asti, insieme ai borghi vicini nell’anno 1248. Nell’anno 1487, era Signore di Supponito, un certo Antonio, giudice della città di Chieri che sposò Caterina di Montafia, nobile castellana di quei luoghi, nata il 9 Dicembre 1435. Nell’anno 1531, Supponito, con altre terre e castelli, fu, dall’Imperatore Carlo V regalato in dote a Beatrice di Portogallo, moglie del Duca di Savoia Carlo III, padre di Emanuele Filiberto. Nell’anno 1588 il castello di Supponito apparteneva in feudo a S. Paolo, e ne era Signore Ricci Tommaso.

Villanova, sentinella avanzata verso i confini del Ducato di Savoia, e al margine della grande strada Torino - Asti - Genova, fu valido baluardo contro le soldatesche straniere. Di qui vide passare gli eserciti di Crociati, in diverse spedizioni, incitati dalla predicazione di Pietro l’Eremita e di S. Bernardo, diretti in Palestina, per liberare il Sepolcro di Cristo dagli infedeli. Di qui passarono nel 1174, le milizie tedesche, che scese dal Moncenisio, comandate da Federico Barbarossa, incendiarono Susa, Chieri, Asti, e posero l’assedio ad Alessandria.

Nell’anno 1494, il giorno 9 Settembre, Carlo VIII, re di Francia, giungeva da Chieri a Villanova, con un esercito di 40.000 uomini, e venne ad ossequiarlo il Marchese di Monferrato Guglielmo VII Paleologo, ed immenso popolo plaudente, dei luoghi vicini, credendo d’incontrarsi con un liberatore; fatto ricordato da una lapide, della quale non rimane che copia nell’archivio comunale di Villanova.

Carlo VIII poté giungere fino a Napoli, ma si alienò presto la popolazione con la prepotenza, per cui, ritirandosi

dall’Italia, presso Fornovo, venne sconfitto dalla lega italiana e a stento riuscì a rivalicare le Alpi (1495).

Nell’anno 1565, il Duca Emanuele - Filiberto di Savoia, essendo a Villanova, invitava per lettera la Comunità di Buttigliera a giurargli fedeltà, delegando a riceverla Girolamo Valperga, arcivescovo di Tarantasia, governatore del Contado di Asti.

(1) Soltanto nel 1691 si cominciò ad abbattere i bastioni di Villanova e nel 1734 vennero quassi appianati.

Nell’anno 1641 venne ad accamparsi nelle pianure di Villanova, col suo esercito, il Principe Tommaso di Savoia e di qui si recò a Torino e proseguì all’assedio di Chivasso.

Nell’anno 1642 le milizie piemontesi comandate dal generale Broglia, cinsero d’assedio la piazza di Villanova, la quale oppose vigorosa resistenza; e per la sua posizione in aperta campagna, lungi dalle boscaglie e cinta da forti mura, presentava ostacoli insuperabili al nemico. Cadde tuttavia dopo un lungo assedio, senza opinione di connivenza del Governatore di Villanova, il quale accusato poi di tradimento, non poté liberarsi che con la fuga.

Nell’anno 1690 l’esercito francese comandato dal Maresciallo Catinat, distrusse Riva di Chieri, Crivelle, S. Paolo e recò gravi danni a Villanova.

Nell’anno 1705, l’11 Novembre il Maresciallo francese Vendome, occupò Villanova e il 12 assalì Riva di Chieri, difesa da 400 dragoni Savoiardi sotto il comando dei colonnello Saint-Etienne, che dopo vive resistenze, si ritrassero in buon ordine.

Nell’anno 1706, sul finir del mese di Agosto, il Principe Eugenio di Savoia, venuto in aiuto ai piemontesi, comandando il suo esercito, si recò di sua persona a Villanova d’Asti, ove trovò una scorta di 200 cavalli mandatigli incontro dal Duca Vittorio Amedeo Il, e proseguì con quella senza arrestarsi fino a Carmagnola, al fine di abboccarsi coi cugino, contro l’esercito francese che venne sbaragliato, dopo l’eroico sacrificio dell’artigliere Pietro Micca.

Villanova ottiene i suoi Statuti

Villanova ebbe in seguito i suo istatuti comunali, che erano decreti relativi all’ufficio dei magistrati, all’amministrazione del pubblico, alla procedura civile e criminale, ai pesi e alle misure, alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma occorreva ai bisogni del Comune.

Godeva Villanova di tutti i privilegi feudali e ben meritano speciale menzione i suoi statuti civili e criminali ottenuti nel 1414, i quali statuti, scritti in lingua latina su pergamena, si conservano tuttora negli archivi comunali di Villanova d’Asti.

A salvaguardare la sicurezza del Comune e dei suoi abitanti, esistevano particolari disposizioni: i messi o guardie comunali, dovevano senza alcuna rimunerazione, seguire il Podestà per Villanova, ad ogni richiesta, sotto pena di soldi dieci; esisteva il divieto di condurre in paese chi fosse in guerra col Comune o in, lite con particolari persone; si doveva accorrere al suono della campana della torre; vi era obbligo di chiudere le porte e levare i ponti ogni sera; il Podestà aveva l’obbligo di vigilare sulla conservazione delle mura dei bastioni; era vietato scavalcare le mura o le porte, andar per le vie con armi sia di giorno come di notte, girare di notte senza lume; dopo il suono della campana della sera era interdetto portare per il paese tizzoni accesi ed accendere fuochi per le vie. A custodia notturna della piazza erano incaricati ogni notte quattro uomini dai diciotto anni in avanti, i quali dovevano denunciare ogni delitto venuto a loro conoscenza.

Le vie furono illuminate solo molto tardi; non mancavano però, specialmente agli angoli delle strade, immagini religiose, o larghe croci di legno, davanti alle quali, la pietà dei fedeli manteneva accesa qualche debole fiammella, simboli religiosi che dovevano risvegliare devoti sentimenti e trattenere i malfattori dalle malvagie azioni.

Nel 1500 Villanova era popolata da oltre 6000 abitanti; il territorio del Comune villanovese si presentava oltremodo vasto, spingendosi fin sotto Montafia, Villafranca, Valfenera, Poirino, Riva, Buttigliera, con un raggio che in più punti andava oltre i sei chilometri, Il Comune aveva fornaci proprio per i laterizi occorrenti alle costruzioni pubbliche e private; esistevano parecchi mulini comunali; numerosi erano gli artigiani, specialmente fabbri ferrai, falegnami, carradori.

Provvedevano all’assistenza religiosa le chiese di S. Martino di Dusino, di S. Felice, di S. Giovanni, di S. Pietro, di S. Paolo, di S. Michele. Nella relazione della visita pastorale di Mons. della Rovere dcl 1570, risulta che oltre a queste chiese, altre ne esistevano, ove si celebrava per il popolo che abitava in territori lontani dalle parrocchie. Si riscontravano chiese a Corveglia, a Palazzo, a Valdichiesa, a Brassicarda. Ai pellegrini e ai malati bisognosi, soccorreva l’ospedale del Comune. L’ospedale possedeva immobili.

La chiesa di S. Martino fu consacrata da Mons. Domenico della Rovere, vescovo di Asti, il giorno 3 Novembre 1570.

Aggiungiamo qui che i Vescovi conti di Asti, portavano altrettanto bene la spada, quanto sapevano esser degni della mitra e dei pastorale.

Il sistema di coltivazione dei terreni era subordinato ai bisogni della vita: cereali, vino, ortaggi, tela, legna. Abbondavano i cereali e il fieno, non era scarso il vino, e in buona misura si produceva canapa, lino, ortaglie e legna.

Le donne passavano il loro tempo nel ripulire e stendere la biancheria, filare e lavorare di maglia. In molte case esisteva il telaio a mano per tesser la tela, e ancora oggi molte famiglie di Villanova, posseggono preziose pezze di tela di lino e di canapa, che serbano per mettere a disposizione ogni anno in occasione della solennità del Corpus Domini, per adornare e ricoprire interamente le strade del paese. Ed è veramente da ammirare, con quanta cura il popolo villanovese dispone ogni anno le vie del paese come lunghe gallerie, adorne di drappi, trine, merletti, ricami preziosi, quadri, dipinti sacri e profusione di fiori per dare maggior risalto alla solenne processione del Corpus Domini.

Dagli antichi statuti di Villanova, appare che gli abitatori di queste terre, già avevano una particolare devozione verso la Beata Vergine; e la loro devozione verso il Sacramento dell’Eucarestia, fu accresciuta da miracoli che si verificarono in alcune città d’Italia, per cui il Papa Urbano IV, nel 1263, estese a tutta la Chiesa, la festa del Corpus Domini; S. Tommaso d’Aquino ne compose poi la bella ufficiatura.

Ci è caro qui ricordare la bella e devota cerimonia religiosa, che si svolge nella quarta domenica di ogni mese, dopo la Messa solenne, nella chiesa parrocchiale di S. Martino, cioè la processione col Santissimo, lungo le tre navate, col canto del Pange lingua e accompagnamento d’organo.

A Maria Vergine si tributò anche qui l’entusiasmo della massima devozione; e il dogma dell’immacolata Concezione, fu sostenuto fin d’allora, fervorosamente, dai francescani, che tenevano pure un convento a Villanova. Di Lei. infine, paravano in quei tempi, eloquentemente, S. Pier Damiani, S. Bernardo, S. Bonaventura, e fu una gara per circondarla con la poesia del perdono e con fiori di tenerezza.

Aggiungiamo inoltre, che l’Ave Maria, si rese generale dopo il 1240; e S. Domenico (1) introdusse il Rosario, devozione che fu poi connessa alla ricordanza della vittoria di Lepanto (7 Ottobre 1571) in cui fu decisa la superiorità dei cristiani sopra i turchi, vittoria che viene ricordata dalla Chiesa ogni anno, nella prima domenica di Ottobre, con la festa del Stinto Rosario.

 

 

 

 

(1) S. Domenico (1170 + 1221) fondatore dell’Ordine domenicano. Il papa Onorio III approvò l’Ordine domenicano, che si diffuse rapidamente in tutta Europa. Fu canonizzato da Gregorio IX nel 1234.

Da quest’ordine uscirono molti santi, quattro papi, 60 cardinali, più di 1000 vescovi

Descrizione del Codice manoscritto antico

comprendente gli Statuti di Villanova d’Asti

Il codice membranaceo ed originale, come viene descritto da Pietro Savio, è racchiuso fra due assicelle, un tempo ricoperte di cuoio, al presente lacero per larghi tratti d’ambe le parti. Misura cm. 31 x 23. Sul dorso dell’assicella posteriore è scritto: Libro degli statuti di Villanova d’Asti 1414.

Fregiano i bordi delle due tavole, doppia greca ed elegante disegno geometrico.

Mancanti le cinghie che univano le assicelle, sono sostituite da striscie di pelle.

A mezzo il bordo esterno delle tavole, sono due fermagli in bronzo cesellato. All’interno del codice, lo scritto è in bel carattere gotico, alto da quattro a cinque millimetri.

Il corpo di scritto si presenta con grazia, aggiungendo eleganza le iniziali dei singoli capitoli e i titoli in rosso.

Le condizioni del codice sono buone; alquanto deteriorate sono due miniature. La prima riproduce lo stemma orleanese, la seconda, quello visconteo. I gigli sono a oro in foglia, su campo turchino.

Al margine superiore, due angeli, di delicata espressione, pendono in mezzo i gigli orleanesi, riprodotti in oro in foglia, in scudo turchino.

Sul margine inferiore, all’angolo destro, è ritratto lo stemma del Comune di Villanova: Leone rampante giallo in scudo azzurro.

Il codice, conservato nell’archivio comunale di Villanova, è classificato nella categoria prima, e viene catalogato nell’inventario, nei seguenti termini: " Libro in carta pecora di fogli 123. contenenti li Statuti antichi di questa Comunità di Villanova d’Asti ".

Sul merito dei miniatori calligrafi del XIV e XV secolo, abbiamo prove nel prezioso codice e soprattutto nei volumi che si chiamano libri corali. Tanto le lettere iniziali, quanto il contorno dei fogli, sono fatti segno alla comune ammirazione, perché insuperabili per l’impasto e l’intonazione dei colori, e più specialmente per l’applicazione dell’oro.

E Dante ci riferisce che " ridevano le carte " pennelleggiate dai miniatori del suo tempo.

Siffatto splendore e tanta magnificenza d’arte, devesi all’infinita pazienza e al vero amor del bello. Le arti si conservavano allora mistiche e religiose, e si credeva non si potesse raggiungere il vero bello, se non mediante l’ispirazione, né questa ottenere se non con cuore mondo, viva fede, orazione fervorosa.

In un breviario antico si leggono le seguenti parole in latino: " O quam grave pondus scriptura! dorsum incurvat, oculis caliginem facit, ventrem et costas frangit ".

Pianta della fortezza di Villanova

Altre note storiche

La pianta della fortezza di Villanova, raffigura un ottagono irregolare in terra e sostenuto da muraglie, dietro le quali correva tutto in giro la strada coperta, sovrastante ad ampio fossato. Delle due porte, l’una era sul fronte Est verso Asti, l’altra guardante verso Chieri, spalleggiata da bastione o baluardo di S. Sebastiano. Una terza porta, segreta, detta porta di soccorso, dava verso Valfenera, ed era fortemente sostenuta dal Bastione Grosso.

Completava la difesa esterna, sul fronte che prospetta Isolabella, la torre o bicocca di S. Martino, la quale, unitamente a quella di Supponito, ergentesi sul fronte opposto (ambedue in piedi tuttodì) servivano col torriere che perennemente vigilava, ad avvisare i villici e il presidio dell’approssimarsi del nemico.

Tale era dunque quella Villanova che il Della Chiesa chiama " Castello murato, fortezza di molta riputazione, piena di popolo; il quale, per la grande fertilità dei campi, è molto ricco ".

Date le guerriglie continue che sì svolgevano tra Villanova, Valfenera, Riva, Buttigliera, Cocconato e sul contado di Asti tra i Marchesi del Monferrato, i Conti di Savoia, i Principi d’Acaia e i Marchesi di Saluzzo, più tardi tra Francesi e Spagnuoli in Piemonte, nel secolo XVI, gli abitanti dei borghi isolati, dovevano per forza di cose, rifugiarsi tra le mura di Villanova fortificata.

Più volte cinta d’assedio, in quei calamitosi tempi, la piazza di Villanova, oppose vigorosa resistenza, e per la sua posizione in aperta campagna, lungi dalle boscaglie e cinta di forti mura, presentò ostacoli insuperabili al nemico.

Ospedale dei Pellegrini

L’istituzione dell’Ospedale dei Pellegrini, si confonde con la fondazione di Villanova d’Asti, e si presume derivasse dala Commenda, ossia dal priorato di Barcellaria, di spettanza dell’Ordine Gerosolimitano di Malta, posto in vicinanza di Supponito, presso il luogo di S. Paolo della Valle; difatti sussiste ancora la regione detta Barcellaria, e nel catasto di Villanova d’Asti, trovasi il quartiere Barcellaria.

Questo ospedale fu amministrato dal Comune di Villanova fino a che fu ridotto in Congregazione di Carità ad istanza del Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano di Malta.

Commenda di S. Pietro in Supponito

Si vuole che la chiesa di S. Pietro in Supponito, siccome derivante dalla chiesa dei Benedettini già esistenti nel luogo di Supponito, non avesse, in un primo tempo, cura d’anime, perchè ridotta in Commenda col titolo di Priorato di S. Pietro. La Commenda era una rendita o beneficio ecclesiastico che il Papa conferiva ad un sacerdote, o ad un laico, vita sua durante. Questa Commenda di S. Pietro, ebbe fra i suoi titolari, l’abate Goffredo di Saluzzo dei Signori della Manta, il cardinale Carlo Tournon legato pontificio nella Cina, l’abate d’Arcour e l’abate di Cecidano. Esiste ancora la cascina che era della Commenda all’entrata nel paese e viene detta " La Cumanda ".

(Dal Codice di Asti detto di Malabayla)

N. 812. Come il signor Ottone Candelerio, milanese, giudice della Corte Imperiale, sentenziò contro Uberto di Casasco e suoi consorti, doversi mettere la Badessa Cecilia, di S. Felice di Pavia, nel possesso di certe terre di Villanova. Anno. 1184. Mercoledì, 22 Agosto.

N.814. Precetto fatto dal Vicario imperiale a Giovanni Martino, di autenticare le disposizioni dei testimoni nella causa vertente fra la Badessa a e il silo monastero, e Uberto Conte di Biandrate. Anno 1185, Luglio 10

N. 815. Altro ordine dato (Tal Vicario dell’Imperatore Ottone di Germania, a Martino figlio di Filippo, di autenticare le dette testimonianze di alcuni testi uditi in altra questione vertente. In questo atto è nominato il Conte Umberto di Biandrate, il Marchese Guglielmo di Monferrato, la badessa Cecilia dei monastero di Villanova, Uberto di Riva di Chieri. Anno 1186, Febbraio 16.

N. 816. Sentenza pronunciata dal Vicario dell’Imperatore a favore della badessa Cecilia del monastero di S. Felice, riguardo a Villanova Anno 1186, Febbraio 16.

N. 818. Possesso da darsi alla badessa di S. Felice, del luogo di Villanova e di tutti i diritti e giurisdizione, per precetto ed incarico del giudice della Regia Corte. Anno 1187, Ottobre 24.

N. 833. Vendita di Villanova e Corveglia, fatta al Comune di Asti, dalla badessa Massimiliana e dalle monache e Capitolo, con tutti i suoi diritti e le giurisdizioni. Quest’atto parla pure di Dusino, Corveglia, Valfenera. Anno 1215, Ottobre 25.

Alcune delle carte dell’Archivio comunale di Villanova d’Asti

Pergamena dell’anno 1444 del 2 Maggio: Privilegio e concessione del Duca di Milano Filippo Maria Visconti alla Comunità di Villanova di agire liberamente e decidere delle cause civili e criminali e dar sentenza di prima istanza.

Pergamena dell’anno 1426 del 26 Aprile: Concessione fatta dal Duca di Milano Orleans governatore dell’astigiano o, sopra S. Paolo, S. Michele e Solbrito, sotto la giurisdizione di Villanova.

Pergamena dell’anno 1426: Investitura del luogo di San Paolo, S. Michele, e Solbrito al signor Riccio.

Dal volume degli statuti di Villanova si legge: " Nell’anno 1633 il giorno di S. Sebastiano (20 di Gennaio) nel territorio della Comunità di Villanova fece un. grandissimo caldo, e nei mesi di Giugno e Luglio vi furono giorni freddissimi ".

Altra carta: Anno 1563, il 30 Aprile. Confermazione di Emanuele Filiberto Duca di Savoia delli privilegi e Statuti delli uomini di Villanova.

Carte riguardanti lo smembramento dei castelli Lettere di ingiunzione del dott. Lelio Cauda, delegato di S. A. R. il Duca di Savoia, per la smembrazione e separazione dei Castelli di S. Paolo, Solbrito, Traversola, Dusino, S. Michele, dal luogo di Villanova. Questo scritto parla dell’Ill.ma Donna Margherita Contessa di Camerano e Dusino, ed Emilio Riccio conte di S. Paolo, Tomaso di Montafia, e Mari Antonio Riccio Conte di Solbrito, e Giacomo Curbis Conte di S. Michele che con li uomini di detti luoghi, convennero che si procedesse allo smembramento come sopra indicato. L’atto venne firmato nel Castello di S. Paolo, come più indicato e più comodo alle parti interessate. Dato in S. Paolo, firmato Lelio Cauda, delegato di S. A. R. il Duca di Savoia Vittorio Amedeo I. Anno 1623.

Da altra carta risulta che il Capitano Tommaso Riccio fu Podestà di Villanova nell’anno 1550. Il diritto alla nomina di Podestà di Villanova era, in quel tempo, riservato alla famiglia Riccio con rescritto di Anna d’Orleans.

L’istruzione del popolo nelle antiche scuole Parrocchiali di Villanova e nei Monasteri

Primo ordinamento degli studi

Nel medioevo l’istruzione era quasi completamente nelle mani della Chiesa. Le scuole di quel tempo erano tenute dal clero, annesse ai vescovadi, ai monasteri, alle parrocchie. A Villanova esistevano le scuole parrocchiali. La Chiesa che, di fronte alle invasioni dei barbari, si era affermata tutrice dell’eredità di Roma, ne adottò la lingua rendendo generale l’uso del latino.

Sarebbe ingiusto accusare la Chiesa del medioevo, come nemica dell’istruzione. Al contrario, si deve al clero, se in mezzo alle barbarie e alle guerre, si mantenne viva la tradizione della cultura.

Nel 1179, il terzo Concilio di Laterano, promulgava il seguente Decreto:

" La Chiesa di Dio, essendo tenuta, quale buona e tenera madre, a provvedere ai bisogni corporali e spirituali dei poveri, desiderosa di procurare ai fanciulli poveri la felicità d’imparare a leggere e di far progressi nello studio, ordina che ogni cattedrale abbia un maestro inteso ad istruire gratuitamente i chierici di quella chiesa e gli scolari poveri, e che gli venga assegnato un benefizio che, bastevole alla vita di lui, schiuda così la porta alla gioventù studiosa. Un sacerdote insegnerà presso le altre chiese e nei monasteri, dove un tempo esistevano beni rivolti a questo fine ".

Le scuole episcopali o vescovili, erano aggregate alle chiese cattedrali, e frequentate specialmente dai chierici avviati al sacerdozio, ma anche dai laici; l’esclusione dei laici avvenne più tardi.

Le scuole dei monasteri erano poche e in luoghi appartati, e furono frequentate anche da laici.

Un terzo genere di scuole, erano le scuole Parrocchiali, che formavano un vero ordinamento scolastico attorno al parroco e al curato, e costituivano un primo tentativo delle nostre scuole rurali.

Nelle scuole parrocchiali, oltre l’insegnamento del leggere e dello scrivere, s’impartiva l’insegnamento della dottrina cristiana, uno dei più antichi e sacri doveri dei parroci; il compito di istruire - docère - si univa così a quello di predicare e di propagare la fede.

Oltre le suddette scuole ebbero, in Italia, diffusione le scolette elementari private. I rudimenti dell’alfabeto erano dati da chiunque, spinto dal bisogno o per vocazione, fosse in grado di farlo. Il più delle volte erano dati da un grammatico privato, o da un padre di famiglia non digiuno di lettere, o anche da un sacerdote.

A Villanova, senza alcun dubbio, esisteva la scuola parrocchiale nella Pievania di S. Pietro e nella chiesa di S. Felice, l’attuale chiesa di S. Martino. Gli alunni di tali scuole, dati i tempi, erano pochi, di famiglie più volonterose o più ragguardevoli del luogo.

Accanto alla scuola tenuta dagli ecclesiastici, vi era, per le fanciulle, la scuola tenuta dalle monache del monastero di Corveglia. Queste umili scuole, erano chiamate ad un compito essenziale: far imparare a leggere e a scrivere, e istruire la scolaresca nella dottrina cristiana.

Si passava alla prima lettura, compitando sopra un libriccino latino, contenente le preghiere della Chiesa e i salmi più comuni, detto per ciò Salterio. Fu il primo libro di lettura in uso nel lontano medio evo.

Nel monastero di Corveglia, per l’educazione e per l’istruzione delle fanciulle, come nelle scuole femminili di quel tempo, si tenevano presente le lettere di S. Girolamo a Leta, sull’educazione di sua figlia Paola, lettere che sono un prezioso documento pedagogico di primi tempi del cristianesimo.

Giova qui ricordare l’eccellenza di alcuni suoi consigli, sull’insegnamento della lettura e della scrittura.

" Mettete nelle mani di Paola, lettere intagliate in legno; fatele conoscere i rispettivi nomi : ella si istruirà con diletto. Ma non basta che sappia a memoria i nomi di queste lettere e che le denomini successivamente nell’ordine dell’alfabeto: voi le mescolerete spesso tutte insieme, ponendo le ultime al principio, e le prime nel mezzo. Fatele poi unire le parole, promettendole un premio, o dandole per ricompensa ciò che ordinariamente piace ai fanciulli della sua età. Non le rimproverate le difficoltà che prova nel comprendere; al contrario, incoraggiatela con lodi; fate in modo che senta ugualmente la gioia di aver fatto bene e il dolore di non essere riuscita ".

Per la scrittura, S. Girolamo, come Quintiliano, raccomanda che i fanciulli si esercitino prima su tavolette di legno.

Questi procedimenti sono ancora oggi adottati nelle nostre scuole elementari.

Per l’opera di istruzione e di educazione verso la gioventù, vanno pure ricordati i canonici regolari di S. Agostino, della prevostura di Corveglia, ed i Francescani (minori osservanti) del convento di Villanova.

Col fiorire dei Comuni, dal 1100 al 1300, sorsero le Università per gli studi superiori, cioè diritto, eloquenza, filosofia e medicina. Si usciva dalle università col titolo di dottore. Fin d’allora gli studenti si davano a vita libera e spensierata, consumando denari in divertimenti.

Frequentarono l’università Dante, Petrarca, Boccaccio. Per opera di questi grandi scrittori, il dialetto toscano, divenne la lingua nazionale d’Italia.

Più tardi, insieme al sorgere delle università, si affermarono e si moltiplicarono le scuole comunali. I maestri furono stipendiati dal Comune, anche a Villanova. Ma non furono sempre trattati allo stesso modo: in un luogo godevano esenzioni dai dazi, altrove godevano dell’alloggio gratuito, o anche la facoltà di riscuotere le quote degli scolari, oppure di tenerli a pensione.

Quando la scolaresca era numerosa, il maestro era aiutato da ripetitori per la cura dei più piccoli; al Comune toccava di sottostare ad altra spesa; quella del ripetitore. I maestri avevano l’obbligo, non solo d’insegnare e di educare, ma anche di condurre i ragazzi alle funzioni di chiesa, di far da notaio nel Comune e di recitare i discorsi funebri.

Nelle scuole comunali, vennero presto di moda l’abbaco e la tavola pitagorica, con le regole pratiche, brevi e schematiche, per le quattro prime operazioni dell’aritmetica.

L’arciprete della chiesa di S. Martino, Giacomo Goria, dottore in diritto ecclesiastico e civile, curò con zelo e competenza il diffondersi dell’istruzione fra tutte le classi del popolo di Villanova. Fu arciprete di S. Martino dal 1597 al 1602. Fu in seguito incaricato d’impartire l’istruzione e l’educazione, ai figli del Duca Carlo Emanuele I; poi nominato vescovo di Vercelli, ove attivamente lavorò per la Chiesa e per il popolo dal 1611 al 1648.

Fondò pii istituti, provvide a studi e nella sua beneficenza ricordò Villanova, lasciando l’occorrente per il vitto, l’alloggio, il vestito, a tre suore Orsoline, che in Villanova dovevano risiedere ed istruire la gioventù. Morì il 3 Gennaio 1648 e la sua spoglia mortale, fu deposta nella chiesa di S. Elena da lui fatta erigere, nel suo paese nativo, a Villafranca d’Asti.

Villanova sotto varie dominazioni

I Comuni tutti insieme non seppero mai stabilire una buona federazione che li avrebbe salvati dai nemici prepotenti. Le discordie, le lotte, le vendette, fecero perdere ai Comuni la loro libertà. Non ebbero la civile prudenza che cioè non v’è autorità senza unità, e che le libertà parziali non valgono, senza l’indipendenza. E dell’unità nazionale, neppure nacque il pensiero.

Così l’Italia continuò per molti secoli ad essere preda or dell’uno or dell’altro dominatore straniero.

 

Villanova sotto il dominio dei Visconti di Milano

(Dominio di Gian Galeazzo Visconti)

" Il 18 Marzo 1384 Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, conferiva al Comune di Villanova le concessioni al medesimo Comune dal proprio genitore e da sè accordate ".

(Archivio comunale di Villanova)

Gian Galeazzo, ambizioso e dissimulatore, è il più grande dei Visconti. Per regnare non esitò a far uccidere lo zio Bernabò. Ridotto tutto il dominio visconteo nelle sue mani, lo portò alla massima potenza. Servito da illustri generali, acquistò il dominio di Asti, Alba, Verona, Piacenza, Bologna, Perugia, Assisi. Nè meno grandiose furono le sue opere pacifiche: fece scavare il Naviglio, diè mano alla fabbrica del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia.

Già si apprestava ad assoggettare Firenze, quando improvvisamente moriva nel 1402, a soli quarantanove anni.

Gian Galeazzo Visconti, aveva dato in isposa la figliuola Valentina a Augi d’OHeans della Casa Reale di Francia, e nel contempo diede in dote alla figlia, il Ducato di Milano, compreso Asti

Luigi d’Orleans prese quindi possesso di Asti, come erede dei Visconti, riordinandone l’amministrazione; ma dopo alterne vicende, il dominio passò a Filippo Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo.

Villanova sotto il dominio di Filippo Maria Visconti

" Il 2 Maggio 1444 Filippo Maria Visconti, duca di Milano, conferiva al Podestà di Villanova, piena giurisdizione nelle cause civili, criminali e miste, con autorità di pronunziare sentenze su qualsiasi delitto, giusta gli statuti del Comune. Accorda inoltre agli uomini di Villanova di poter modificare i loro capitoli, ordini, statuti e riforme. Conferma da ultimo tutti i privilegi al medesimo Comune in qualsiasi maniera da sè concessi e dai suoi predecessori ".

(Archivio comunale di Villanova)

Filippo Maria Visconti, cupo, diffidente, abile a celare i sentimenti proprii e a giovarsi degli altrui, con l’aiuto di un valoroso condottiero, Francesco Brassone, detto il Carmagnola, riuscì ad affermare la sua autorità su quasi tutto il ducato di suo padre. La repubblica di Venezia si oppose però ai suoi grandiosi disegni e ne seguì una lunga guerra fra Milano e Venezia. La guerra si trascinava con alterna vicenda, quando Filippo Maria moriva improvvisamente nel 1447. Con Filippo Maria si estinse la Casa dei Visconti di Milano.

Villanova sotto il Dominio di Francesco I re di Francia

(Dominazione francese)

 

" Nel mese di Agosto 1528 Francesco I, re di Francia e signore di Asti, conferma agli uomini del Comune di Villanova, i diritti, le concessioni, i privilegi, le immunità, le franchigie e le libertà loro accordate e confermate dai suoi predecessori Conti di Asti ".

(Archivio comunale di Villanova)

Francesco I, salito al trono di Francia dopo la morte di Luigi XII, era appena ventiduenne, coraggioso, eloquente, animoso cavaliere. Sapeva coll’aperto ingegno e con la prontezza far sue le cognizioni altrui.

Desideroso di possedere il Ducato di Milano, Francesco I scese in Italia alla testa di 90.000 soldati e poté avanzarsi senza resistenza sino a Marignano (ora Melegnano), presso Milano. Ivi avvenne la celebre battaglia detta dei Giganti, per l’eroismo di entrambe le parti (Settembre 1515). I francesi rimasero vincitori e vennero in possesso del ducato di Milano con tutte le sue dipendenze.

Francesco I, ambizioso, avrebbe desiderato anche la corona imperiale; invece essa toccò al re di Spagna Carlo V.

La guerra non poteva tardare fra i due giovani e potenti sovrani. Francesco scese in Italia, passando per il Cenisio con un poderoso esercito e si accampò intorno a Pavia. Ma quivi attaccato dagli eserciti di Carlo V, fu sconfitto in battaglia campale. Caddero sul campo 10.000 francesi e, lo stesso re Francesco I, fatto prigioniero, diede notizia del disastro alla madre con le parole: Tutto è perduto fuorché la vita e l’onore.

Francesco fu portato prigioniero in Ispagna e per riavere la libertà dovè dare in ostaggio a Carlo V i proprii figliuoli e rinunciare alle sue pretese in Italia.

Dopo parecchi anni di altre ostilità contro Carlo V, fu costretto a chiedere la pace nel 1544 e tre anni dopo Francesco I moriva.

Favorì le arti, protesse e ospitò alla sua corte Leonardo da Vinci e Benvenuto Cdlim; il primo fu il genio più universale del suo Secolo, pittore, scultore, architetto e scienziato; il secondo fu artista mirabile, cesellatore sommo

 

Villanova sotto il dominio di Carlo Quinto imperatore

(Dominazione spagnuola)

 

" Il 21 Marzo 1530 Carlo V imperatore e signore di Asti, conferma al Comune e uomini di Villanova, i privilegi, le libertà, le franchigie, gli statuti, le immunità, il mero e misto impero e piena giurisdizione, nonchè il pedagio, ripagio, pascoli e le altre regalie e concessioni loro accordate dai suoi predecessori conti di Asti ".

(Archivio comunale di Villanova)

Carlo V nacque a Gand, città del Belgio, nel 1500. Prima re di Spagna e delle due Sicilie, ottenne indi la corona imperiale, contesagli da Francesco I, re di Francia. Governò la maggior monarchia che il mondo avesse conosciuto, dopo Carlomagno. Si disse che sul suo impero non tramontasse il sole, tanto era vasto. Combatté lunghe guerre per il dominio di stati di Europa, principalmente contro Francesco I.

" Uomo dei più insigne e dei più fatali che la storia ricordi; l’oppressione dell’Italia, la strage dei Paesi bassi, le oscillazioni in Germania, l’ignoranza nell’economia politica non bastarono a togliergli la potenza dell’impero In Bologna venne incoronato Imperatore dei Romani dal Papa Clemente VII nel 1519. Così consumavasi l’italico avvilimento, cominciato con le discordie e finito allora per la concordia di soli potenti " (C. Cantù).

Durante il suo impero si era costituita una lega tra il Papa e Francesco I, per far valere contro Carlo V, certi diritti. Carlo V, quando seppe della lega, mandò in Italia un esercito di lanzichenecchi, fanatici luterani tedeschi. Fra lo spavento delle popolazioni, questo esercito mosse su Roma. Nel 1527 la Città fu presa d’assalto da quei masnadieri e orribilmente saccheggiata; seguirono stragi, violenze inaudite su le persone e le cose, incendi e devastazioni di capilavori.

Il Papa Clemente VII, chiuso in Castel S. Angelo, dovette assistere impotente a frenare quella strage.

Carlo V, pur mostrandosi dolente per tanta distruzione, non impedì che continuassero per nove mesi le sfrenate violenze di quelle soldatesche fanatiche e ubbriache.

Clemente VII, dopo un lungo assedio, firmò una tregua, con la quale doveva pagare un’enorme somma di denaro; ma primi di averla interamente versata, riuscì a fuggire travestito da ortolano.

Carlo V, stanco di tante lotte, abdicò ritirandosi indi nel monastero di S. Giusto, in Ispagna.

La leggenda racconta che, essendo tormentato dalla gotta e non vedendosi più considerato dal mondo, volle anticiparsi gli onori della tomba e, disteso ancor vivo nella bara, vennero fatte le esequie, ossia le preci che si cantano intorno al feretro. Cessava di vivere il 27 Settembre 1558, in età di 58 anni.

Villanova sotto il governo di Emanuele Filiberto

" il 30 Aprile 1563 Emanuele Filiberto, duca di Savoia, Principe di Piemonte e Conte di Asti, conferma agli uomini di Villanova i privilegi e le franchigie loro accordate, nonché gli statuti loro municipali ".

(Archivio comunale di Villanova)

Col trattato di Castel Cambresis (3 Aprile 1559) Emanuele Filiberto ebbe tutti i suoi stati fino allora occupati dai Francesi e dagli Spagnuoli. Da questo punto la Casa Savoia appare potenza italiana ed ebbe peso fra le potenze europee.

Il giovane principe si era già immortalato nella vittoria di S. Quintino nella guerra di Fiandra (provincia del Belgio). Gli stranieri avevano lasciato i suoi stati in triste condizione. Emanuele Filiberto cercò subito di rimediare a tanti mali. Riordinò la pubblica amministrazione e la giustizia, promosse gli studi, riaprendo l’Università a Torino, ravvivò l’agricoltura, protesse l’industria, favori il commercio. Fece aprire canali diffondere lanifici e setifici, abolì la servitù della gleba, formò la milizia e accrebbe la flotta che, alla battaglia di Lepanto, fece buona prova. Tenne a segretario Annibal Caro, colui che tradusse l’Encide di Virgilio in versi sciolti.

Fu il vero restauratore dello stato Sabaudo. Chiuse la sua operosa vita nel 1580.

Da allora Villanova seguì le sorti di Asti e fatti notevoli non avvennero finchè i francesi non tentarono nuovamente di rivalicare le Alpi.

Passarono ancora molti anni prima che l’Italia raggiungesse la sua indipendenza, dall’Alpi alla Sicilia.

Bisognava far vergognare gli Italiani della loro decadenza politica e morale, inducendoli a riflettere sugli esempi della passata grandezza.

A questi fini attesero letterati italiani, come Vittorio Alfieri (1), nato ad Asti nel 1749, il maggior poeta tragico italiano, e più tardi, il Grossi, il d’Azeglio, il Pellico, il Tommaseo, il Giusti, il Gioberti, il Balbo, illustre storico piemontese.

Anche l’insigne storico e letterato Cesare Cantù, col suo romanzo " Margherita Pusterla", e Alessandro Manzoni con l’immortale suo libro " I Promessi Sposi ", svelarono quali fossero i mali di una dominazione straniera.

Ad educare il sentimento nazionale giovarono pure gli autori drammatici, come Rossini, Bellini, Donizzetti, Verdi; e quando sul palcoscenico gli attori facevano allusione alla patria, era un fremito in tutti gli spettatori e uno scoppio di applausi, nel quale si scorgeva il vivo desiderio di un’Italia libera indipendente e forte.

E soltanto dopo lunghe e sanguinose lotte per l’indipendenza nazionale, sotto lo scettro di Casa Savoia, è stato possibile ricostituire l’unità della patria nel 1870 con Roma capitale.

Edoardo Verona

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